giovedì 20 agosto 2020

Merlino, Uomo Selvatico, druidi e le Triadi Bardiche

 

Immagine di Iolo Morganwg, da Wikipedia


Le cosiddette "Triadi Bardiche" dette anche Bardass sono state scritte nel XVI secolo da Llwellyn Sion di Glamorgan, un poeta gallese e copista di manoscritti, e recuperate da Edward Williams (vissuto tra il 1747 e il 1826), che si fece chiamare Iolo Marganwg, il fondatore del druidismo moderno. Secondo alcuni, sono state scritte direttamente da Iolo. 
Ovviamente non possiamo dire che certe Triadi siano attendibili come visione filosofica druidica, essendo così tanto recenti rispetto al druidismo precristiano di cui, peraltro, si sa pochissimo, ma secondo T. W. Rolleston, nel suo "I Miti Celtici", esse sono "un'opera di interesse filosofico notevole che [...] meriterebbero l'attenzione degli studiosi" perchè "non è saggio scartare la possibilità che alcuni frammenti di antiche credenze possano esser sopravvissuti nella tradizione bardica (n.b. del sedicesimo secolo)". Ovviamente non hanno nulla a che vedere con le più arcaiche Triadi Gallesi, e la loro attendibilità è bassa, ma sono state accettate da molti gruppi di Avalon o drudici per la loro bellezza e intensità. Io riporterò qui la versione tradotta da Brinigwenn, che era stata pubblicata nell'Avalon Nemeton e su Bibrax

1. Tre sono le cose che il viandante non può controllare: il Tempo, lo Spazio e la Verità.

2. Tre sono le cose che mantengono l'ordine e sistema per ciascuna cosa nel mondo : Numero, Peso e Misura.

3. Tre sono le cose che dovrebbero venire considerate prima di tutte: Natura, Forma e Lavoro.

4. Tre sono le cose che distruggono ovunque viaggiano: Acqua, Fuoco e la maledizione degli Dei.

5. Tre sono le cose senza eguali nel mondo: Bellezza, Amore e Necessità.

6. Tre sono le cose che un viandante non può cancellare: Grande Amore, Grande Odio e Grande Abbondanza

7. Tre sono le cose che non si fermano mai in un viandante: il cuore nel lavorare, il respiro nel muovere, e l'animo nel proporre

8. Tre sono le cose difficili da vincere per un Viandante: il suo genio, il suo credo e la sua nazione.

9. Tre sono le cose su cui ciascun viandante dovrebbe riflettere: da dove viene, dove si trova, e dove andrà

10. Tre sono le cose difficili da realizzare completamente per un viandante: conoscere se stesso, vincere il suo appetito, e mantenere il suo segreto.

11. Tre sono le cose di cui "tutto" non è bene: fare tutto ciò che la passione desidera, credere a tutto ciò che si dice sulla terra, e mostrare tutto ciò che si conosce.

12. Tre sono i martiri senza uccisione: la generosità di un viandante bisognoso, la castità di un giovane viandante, e un alto tenore di vita senza ricchezza.

13. Tre sono le cose la cui perdita genera sventura: il raggiungimento della conoscenza, una coscienza pura, a l'amore degli Dei.

14. Tre sono le cose che abbagliano il mondo: disonestà, supremazia, e l'eccessivo amore per uomini e donne.

15. Tre sono i consigli dell'uccello giallo:non addolorarsi troppo di ciò che è accaduto, non credere in ciò che non può essere e non desiderare ciò che non puoi ottenere.

16. Tre sono le cose che arrivano al Viandante senza che se ne renda conto: sonno, peccato e vecchiaia.

17. Tre sono le cose essenziali per compiere ogni atto: conoscenza, abilità e desiderio.

18. Tre sono le fonti della conoscenza: ragione, fenomeno e necessità.

19. tre sono gli insegnanti di un Viandante: la prima gli eventi, che derivano da ciò che si vede e si sente, la seconda l'intelligenza, che viene dalla riflessione e dalla meditazione; e la terza il genio, individuale, dal dono degli Dei.

20. Tre sono le istruzioni a cui non è saggio credere: ciò che un Viandante insegna a favore di ciò che è per il proprio profitto e successo; ciò che insegna con odio ad una altro; e ciò che un Viandante saggio ai suoi stessi occhi insegna

21. Tre sono le cose senza le quali nulla può essere: il potere del grande Spirito, il Dio e la Dea, l'amore degli Dei, e la saggezza degli Dei.

22. Tre sono le cose che nessuno oltre agli Dei può sapere: l'inizio di tutto, la causa di tutto, e la fine di tutto.

23. Tre sono le cose che nessuno oltre agli Dei può fare: creare ciò che non è mai esistito prima, sapere ciò che avverrà, e giudicare oltre coscienza.

24. Tre sono le cose che è meglio lasciare agli Dei: giudicare, premiare e retribuire; poiché non c'è nessuno oltre a Loro che sa cosa delle tre è dovuta ad un altro.

25. Tre sono le cose che fanno rimanere vicini agli Dei: la comprensione intuitiva, un lungo e sofferto amore, la conoscenza contemplativa.

26. Tre sono i doni degli Dei: immaginazione, intelligenza, e carità.

27. Tre sono le cose che avvicinano il Viandante agli Dei: pazienza, amore e coscienza.

28. Tre sono le cose che spingono a pregare gli Dei: una lunga malattia, una lunga avversità, ed un lungo dolore.

29. Tre sono le cose che gli Dei non perdonano ad un Viandante: diffamare gli Dei, non credere agli Dei, e disperare degli Dei.

30. Tre sono le punizioni: la punizione della legge della terra, la punizione della coscienza, e la punizione degli Dei.

31. Tre sono le cose che muovono insieme alla stessa velocità l'una con l'altra: illuminazione, pensiero, e l'aiuto degli Dei.

32. Tre sono le cose a cui non si può mai dare una giusta ricompensa: i genitori, i buoni maestri e gli Dei.

33. Tre sono le cose che teniamo in troppa considerazione e che portano via il nostro orgoglio: il nostro denaro, il nostro tempo e la nostra Coscienza.

34. Tre sono le cose che si assomigliano: una spada luminosa arrugginita dal troppo tempo tenuta dentro il suo fodero, l'acqua limpida che puzza per il troppo tempo, e la saggezza morta per il lungo disuso.

35. Tre sono quelli fanno piacere agli Dei: coloro che amano ogni essere vivente con tutto il cuore, coloro che amano ogni cosa bella con tutta la loro forza, coloro che ricercano la conoscenza con tutta la loro comprensione.

36. Tre sono le cose di cui ogni cosa è capace, e senza le quali nulla può essere: la forza del corpo e della mente, la conoscenza, e l'amore per la saggezza intuitiva.

37. Tre sono le cose che non possono essere opposte: la natura, la necessità e la decadenza.

38. Tre sono le genti difficili da credere: un vagabondo che viene da lontano, un lettore di libri in lingua straniera, e colui che è più vecchio dei suoi vicini 

39. Tre sono i tipi di persone a cui non è saggio credere: lo straniero riguardo i suoi beni, un Viandante anziano che predica del tempo antico, e un viandante che millanta la sua saggezza.

40. Tre sono le armonie che tengono insieme tutte le cose: L'armonia dell'amore e giustizia, l'armonia della verità e l'immaginazione, e l'armonia degli Dei e la necessità.

41. Tre sono i consigli di Gwydion: conoscere il potere, conoscere la propria saggezza e conoscere il proprio tempo.

42. Tre sono i vanti di uno stolto: ricchezza, discendenza, e dissolutezza.

43. Tre sono le scuole del Viandante saggio: coscienza, ragione e istruzione.

44. Tre sono le cose essenziali per il saggio da conoscere: gli Dei, se stessi, e l'inganno del mondo.

45. Tre sono le cose che il saggio ottiene: prosperità, dignità e gioia.

46. Tre sono i trionfi del saggio: dignità, intuizione e l'elogio.

47. Tre sono le cose di cui un saggio si può elogiare: la propria comprensione, il proprio lavoro artigianale, e la propria virtù.

48. Tre sono le piaghe di un saggio: il sesso, il bere, ed un cattivo temperamento.

50. Tre sono le cose che capitano a chi non è saggio: fallimento, disgrazia e dolore.

51. Tre sono le iniziazioni alla saggezza: l'insegnamento legittimo, comportamenti effettivi, amore istintivo.

52. Tre sono le operazioni sagge: addomesticare la selvatichezza, diffondere la pace e migliorare le leggi.

53. Tre sono le virtù speciali della saggezza: generosità, industriosità, e prudenza.

54. Tre sono le cose che ostruiscono la saggezza: orgoglio, avidità e timore.

55. Tre i sinonimi di saggezza: necessità, modestia, e utilità

56. Tre sono le dimostrazioni di saggezza: credere alla ragione, credere all'immaginazione, credere al miglioramento.

57. Tre sono le conseguenze della saggezza: immaginazione, risolutezza, e lo sforzo.

58. Tre sono le qualità che mostrano saggezza: soffrire in maniera discreta, perdonare le ingiurie, e ricercare la conoscenza.

60. Tre sono le certezze della saggezza: memoria, riflessione e comportamento.

61. Tre sono i segni della saggezza: semplicità, sforzo e lunga sofferenza.

62. Tre sono le armonie della saggezza: generosità e abbondanza, conoscenza e umiltà, e valore e clemenza; e non è nè un Viandante nè un saggio quello in cui tali cose non vivono in armonia.

63. Tre sono i fondamenti della saggezza: discrezione nell'apprendere, memoria nel trattenere, ed eloquenza nel raccontare.

64. Tre sono le cose che rafforzano la mente e la ragione: vedere molto, riflettere molto, e resistere molto.

65. Tre sono le cose che abbelliscono la mente: l'avversione nei confronti della pazzia, una virtù provetta, e il desiderio di apprendere.

66. Tre sono le risorse di un Viandante: intelligenza, amore e preghiera.

67. Tre sono le cose che un viandante che desidera imparare deve fare: ascoltare attentamente, contemplare con attenzione e stare in silenzio continuamente. 

(©Traduzione di Brinigwenn)


Ma chi erano i bardi?
I Bardi erano parte della categoria dei sacerdoti celtici chiamati "druidi". La caratteristica particolare dei Bardi era quella di scrivere poesie in cui enfatizzavano le gesta degli eroi e di creare quelle "filastrocche" che i druidi insegnavano agli allievi, nelle quali era celata con storie enigmatiche la loro saggezza e il loro sapere. Molto famosa è la Canzone di Amergin, che fu pronunciata quando egli mise piede in Irlanda dopo un lungo viaggio alla guida del popolo dei Milesi e i cui elementi fanno pensare a importanti affinità tra il druidismo e lo sciamanesimo nordico. 

CANZONE DI AMERGIN 
"Io sono un cervo: dalle corna a sette palchi,
io sono una piena: attraverso una pianura,
io sono un vento: su un lago profondo,
io sono una lacrima: che il sole lascia cadere,
io sono un falco: alto sulla scogliera,
io sono una spina: sotto l'unghia,
io sono un miracolo: tra i fiori,
io sono uno stregone: chi oltre a me incendia la testa fredda con il fumo?
Io sono una lancia: che ruggisce assetata di sangue,
io sono salmone: in una pozza,
io sono un richiamo: dal paradiso,
io sono una collina: dove passeggiano i poeti,
io sono un cinghiale: spietato e rosso,
io sono un frangente: che minaccia sciagura,
io sono una marea: che trascina verso la morte,
io sono un neonato: chi oltre a me sbircia dall'alto del Dolmen grezzo?
Io sono il grembo: di ogni bosco,
io sono la vampa: su ogni collina,
io sono la regina: di ogni alveare,
io sono lo scudo: per ogni testa,
io sono la tomba: di ogni speranza."
A dire il vero, ne ho trovate varie versioni, fra cui questa con le frasi in gaelico, tradotte in inglese e poi in italiano:
Am gáeth i mmuir
I am the sea swell
Io sono il moto ondoso
Am tonn trethain
The furious wave
L’onda furiosa
Am fúaimm mara
The roar of the sea
Il ruggito del mare
Am dam secht ndrenn
A stag of seven slaughters
Un cervo da sette macelli
Am séig i n-aill
A hawk above the cliff
Un falco sopra la scogliera
Am dér gréne
A ray of the sun
Un raggio del sole
Am caín lubae
The beauty of a plant
La bellezza di una pianta
Am torc ar gáil
A boar enraged
Un cinghiale inferocito
Am hé i llind
A salmon in a pool
Un salmone nell’acqua
Am loch i mmaig
A lake in a plain
Un lago in pianura
Am brí dánae
A flame of valor
Una fiamma di valore
Am gae i fodb   feras fechtu
A piercing spear waging war
Una lancia appuntita pronta alla guerra
Am dé delbas   do chin codnu
A god that fashions heros for a lord
Un dio che allena eroi per un re
Cóich é no-d-gléith   clochur sléibe
He who clears the mountain paths
Colui che rende sicuri i sentieri di montagna
Cía ón co-ta-gair   áesa éscai
He who describes the moon’s advance
Colui che descrive il sorgere della luna
Cía dú i llaig    funiud gréne
And the place where the sun sets
E il luogo dove tramonta il sole
Cía beir búar   o thig Temrach
Who drives cattle off from Tara
Colui che porta il bestiame da Tara
Cía búar tethrach   tibis cech dáin
That fine herd touches each skill
Quella bella mandria richiede ogni abilità
Cía dé delbas   fáebru áine
A god that fashions weapons of glory
Un dio che prepara armi di gloria
Commus caínte   Cáinte gáeth
An able poet. Wise am I.
Un poeta capace. Saggio sono io.
Molto probabilmente i druidi non sono nati insieme all'avvento delle popolazioni celtiche. Secondo alcuni studiosi hanno un retaggio molto più antico, che affonda nello sciamanesimo nordico, e si sono inseriti nella civiltà celtica grazie alla loro conoscenza, saggezza e autorevolezza fino a diventare coloro che guidavano i popoli ancor più dei re, le cui scelte erano considerate poco affidabili se non ricevevano l'approvazione del druido del clan. La via di Avalon, se presa basandosi sulle tracce antiche, è una sorta di interpretazione del druidismo al femminile. La stessa Marion Zimmer Bradley, nei suoi famosi romanzi del ciclo di Avalon, mostra grandi affinità e collaborazione tra le sue "Sacerdotesse di Avalon" e i druidi, poichè condividevano le stesse credenze. Il famoso Mago Merlino delle leggende rappresenta molto probabilmente un antico druido che, come molti druidi, affiancava un re come suo consigliere e interveniva nelle sue scelte. La stessa cosa la ritroviamo nei libri di Tolkien, con il personaggio di Gandalf. Il primo a citare Merlino fu Geoffrey de Monmouth, ma probabilmente si era ispirato alla figura di un personaggio storico gallese di nome Myrddin che era diventato folle e viveva nella foresta. Da Wikipedia:
"Myrddin Wyllt (gallese: [ˈmərðɪn ˈwɨɬt]—"Myrddin the Wild", cornico: Marzhin Gwyls, bretone: Merzhin Gueld) è una figura della leggenda gallese medievale. Profeta e pazzo, fu introdotto nella leggenda arturiana da Geoffrey di Monmouth come il mago Merlino, associato alla città di Carmarthen nel Galles meridionale. Nella poesia del Galles medio è considerato un capo bardo, oratore di diverse poesie in The Black Book of Carmarthen e The Red Book of Hergest. È chiamato Wyllt—"il Selvaggio"—da Elis Gruffydd, e altrove Myrddin Emrys ("Ambrosius"), Merlinus Caledonensis ("di Caledonia") o Merlin Sylvestris ("dei boschi"). Sebbene la sua leggenda sia incentrata su un noto tema celtico, la leggenda di Myrddin è radicata nella storia, poiché si dice che sia impazzito dopo la battaglia di Arfderydd ad Arthuret nella quale Rhydderch Hael di Strathclyde sconfisse Gwenddoleu. Secondo gli Annales Cambriae ciò avvenne nel 573. Myrddin fuggì nella foresta, visse con gli animali e ricevette il dono della profezia. La leggenda di Myrddin Wyllt assomiglia molto a quella di una figura nord-britannica chiamata Lailoken, che appare nella Vita di Kentigern del XII secolo di Jocelyn of Furness, un importante fondatore della chiesa post-romana di Strathclyde, che si dice sia morto nel 612. Lailoken è identificato con Merlino nel Lailoken e Kentigern della fine del XV secolo, ma il nome alternativo potrebbe essere già presente nel dialogo del XII secolo di Myrddin con sua sorella gemella Gwendydd (o Gwenddydd o Languoreth), poiché si rivolge a lui più volte come Llallwg , per cui il diminutivo sarebbe Llallwgan. Gli studiosi differiscono per quanto riguarda l'indipendenza o l'identità di Lailoken e Myrddin, sebbene vi sia più accordo sull'indipendenza originale di Myrddin dalle successive leggende gallesi. Si dice che la tomba di Myrddin si trovi vicino al fiume Tweed nel villaggio di Drumelzier vicino a Peebles, anche se nulla rimane sopra il livello del suolo nel sito."
Molti associano Merlino anche al bardo Taliesin, profeta e poeta britannico del 500 d.c., di cui restano alcune opere in lingua gallese, come "Il libro di Taliesin", anche se gran parte di questa opera è stata edulcorata ed è difficile capire quali sono le parti attribuibili al vero Taliesin. Secondo Jean Markale, in merito al nome Merlino:
"Nella traduzione bretone, il nome completo del personaggio sarebbe dunque Lallogan Myrddin, e nella tradizione latina Lailoken Merlino. Perchè no?" Egli pensa che Geoffrey de Monmouth ha preferito il nome Merlinus/Myrddin (la cui pronuncia gallese sarebbe meurzinn) poichè Myrddin viene da mori-dunum che significa "fortezza marittima", che a loro volta sono alcuni dei termini che compongono il nome della città di Caerfryddin/Kaermarthen dove "gli inviati di Vortigern hanno scoperto il bambino" (dal libro "Merlino" di Jean Markale). Allo stesso tempo però, associa il nome Merlino anche alla parola inglese del XII sec. merilun che significa "smeriglio", un uccello simile ad un falcone utilizzato dai nobili per la caccia. In merito ad approfondimenti specifici, consiglio la lettura del libro in questione, poichè Jean Markale, riferendosi a leggende e documenti, fa delle osservazioni molto interessanti in merito al personaggio e vi troviamo anche riflessioni sul suo rapporto particolare con Viviana - Nimue nel capitolo "La coppia divina".
Ma torniamo ai nostri drudi.
Essi vennero perseguitati dagli Antichi Romani poichè guidavano le tribù alla ribellione e il più grande, e forse definitivo, massacro dei druidi avvenne sull'Isola di Mona, in Britannia, dove i druidi avevano il loro centro e la loro base. Non si hanno grandi documentazioni di quello che facevano e dei loro riti, perlopiù si tratta di qualche accenno da parte di scrittori greci e latini, ma una testimonianza importante la troviamo nel "De Bello Gallico" di Giulio Cesare (l'imperatore e condottiero romano) che ebbe a che fare con loro durante la sua campagna bellica nelle Gallie, 
Con l'avvento del cristianesimo, molti druidi uscirono dall'ombra e divennero sacerdoti-vescovi cristiani, mentre molti bardi finirono col tempo a fare i cantastorie nelle corti dei nobili e dei Re. 
I druidi avevano un ruolo importantissimo nella società celtica: essi affiancavano i Re, i quali difficilmente agivano senza il consenso del loro druido consigliere. Erano insegnanti, veggenti, guaritori, saggi, maghi, giudici, officianti dei riti della loro religione e dei sacrifici "sacri". Ricordiamo sempre che si sta parlando di un epoca molto arcaica e precristiana. 
Secondo il neodruidismo, essi riconoscevano tre funzioni divine che si palesavano nei tre strati sociali:
- Karantez, (amore, vita, creazione, fecondità, visione), rappresentata con una donna dal doppio volto simbolo di luce e oscurità e della Fonte Vitale di tutto. E' anche la forza creativa e produttiva riconosciuta negli artigiani e negli artisti.
- Skiant, (saggezza, sapienza, conoscenza) rappresentata da un uomo anziano, l'aspetto Re Agrifoglio del Dio, ma anche le qualità dei druidi/druidesse
- Nerz, (forza, volontà, potere, coraggio) rappresentata da un giovane guerriero, l'aspetto Re Quercia del Dio. Era la funzione attribuita ai re/regine e ai guerrieri/guerriere
I druidi non erano solo uomini: nel racconto fatto da Tacito in merito all'attacco dei romani a Mona, egli afferma che c'erano "donne vestite di scuro alla maniera delle Furie, con i capelli sciolti al vento, che agitavano fiaccole". Evidentemente, anche se la storia non le prende molto in considerazione, le "druidesse", dette "Bandrui" (ban=donna) esistevano, e probabilmente erano donne sagge, ritualiste e insegnanti, dedite alle arti sciamaniche della guarigione, alla poesia, e agli oracoli, oltre che presiedere assemblee, creare strategie di battaglia (secondo Plutarco), incontrare regnanti. Alcuni nomi di druidesse noti sono Fedelma e Ganna, che venne ad incontrare Domiziano a Roma (secondo Pomponio Mela).  Dato che le leggende celtiche sono frutto di quei popoli amministrati dai druidi e quindi anche della loro spiritualità, credo che accennare al druidismo in un sito che parla di Avalon e delle sue sacerdotesse sia indispensabile. Mi limiterò però a riportare le indicazioni che ci ha lasciato la più importante fonte storica sui druidi, esattamente con le sue parole:

"In ogni parte della Gallia vi sono due classi di uomini che hanno potere e prestigio. I plebei sono praticamente degli schiavi, e non osano fare nulla per sé, né partecipano ad alcuna decisione. La maggior parte sono oppressi dai debiti o dalla pesantezza dei tributi o dalle ingiustizie dei potenti, e si pongono così al servizio dei nobili che hanno su di loro gli stessi diritti che i padroni hanno sugli schiavi. Di queste due classi una è quella dei druidi, l’altra dei cavalieri. I druidi sovrintendono alle questioni religiose, provvedono ai sacrifici pubblici e privati, interpretano i precetti della religione. A loro ricorrono molti adolescenti per imparare le dottrina, e sono tenuti in grande onore. Deliberano infatti in ogni controversia pubblica e privata. Se poi avviene qualche delitto, una uccisione, una controversia su questioni di eredità e di confini, sono loro a giudicare, assegnando ricompense e pene. Chi, privato o comunità, non si attiene alla loro decisione, viene escluso dai sacrifici. Presso i Galli questa pena è gravissima. Coloro che sono stati esclusi in questo modo dalle questioni religiose, vengono considerati empi e disgraziati; tutti si tengono lontani e temono il contagio. Se chiedono giustizia, non la ottengono. Non possono accedere a nessuna carica pubblica. A capo di tutti i druidi c’è un solo uomo, che ha l’autorità somma tra loro. Quando questi muore, gli succede chi eccelle sugli altri per dignità, oppure, se ve ne sono molti di egual grado, viene eletto il vincitore per suffragio, talvolta si contendono questo primato con le armi. Si radunano poi in un preciso momento dell’anno, in un luogo consacrato, nel paese dei Carnuti, poiché si ritiene che questa regione sia al centro di tutta la Gallia. Qui arrivano da ogni parte quelli che hanno delle controversie, e si sottomettono ai loro giudizi e ai loro decreti. Si pensa che la dottrina dei druidi sia nata in Britannia e che da lì sia passata in Gallia, e ora chi la vuole conoscere più profondamente va per lo più in Britannia a impararla.
- I druidi di solito si tengono lontani dalla guerra, e non pagano come gli altri tributi. Hanno l’esenzione dal servizio militare e da qualsiasi altra prestazione. Spinti da tanti vantaggi, e molti di spontanea volontà, accorrono ad apprendere questa dottrina; altri sono mandati dai genitori e dai parenti. Pare che imparino lì un gran numero di versi. Così alcuni vi rimangono vent’anni per apprendere. Non pensano sia lecito lasciarli scritti, mentre si servono del greco per quasi tutte le altre faccende, per le norme pubbliche e private. Credo che abbiano stabilito questo per due ragioni: da un lato non vogliono che si diffonda tra il popolo la loro dottrina, dall’altro hanno timore che i novizi, confidando nella scrittura, siano meno diligenti nell’apprenderla. Accade infatti molte volte che con l’ausilio della scrittura ci si mostri meno disposti a imparare e a studiare a memoria. In primo luogo i druidi vogliono persuadere che l’anima non muore, ma dopo la morte passa in altri; questo dovrebbe essere soprattutto uno sprone al valore, visto che il timore della morte viene abbandonato. Discutono anche molto degli astri e del loro movimento, della grandezza del mondo e della terra, della natura, della potenza degli dei immortali e di tutto ciò che fanno precetti per i giovani.
- Tutta la nazione gallica è molto dedita a pratiche superstiziose. Per questa ragione chi sia affetto da gravi malattie o si trovi in battaglia, o nei pericoli, immola vittime umane o vota se stesso alla morte; per questi sacrifici si servono come ministri dei druidi, poiché pensano che non si possa placare la volontà degli dei immortali se non dando una vita per un’altra vita; anche la comunità ha stabilito per la sua salvezza questo genere di sacrifici. Alcune popolazioni hanno statue di grandezza inusitata, le cui membra sono intessute di vimini e al cui interno vengono posti uomini vivi; vi pongono sotto il fuoco e gli uomini muoiono avvolti dalle fiamme. Pensano che gli dei preferiscano la morte di chi sia stato arrestato per furto, per latrocinio e per qualche altro delitto. Se tuttavia mancano uomini di questo genere sacrificano anche degli innocenti.
- Il Dio che i Galli onorano di più è Mercurio: le sue statue sono le più numerose, essi lo considerano come l’inventore di tutte le arti, egli è per loro il dio che indica il cammino, che guida il viaggiatore, egli è colui che è più abile ad assicurarsi i guadagni e a proteggere il commercio. Dopo di lui adorano Apollo, Marte, Giove e Minerva. Essi si fanno di questi dei pressappoco la stessa idea degli altri popoli: Apollo guarisce dalle malattie, Minerva insegna i principi dei lavori manuali, Giove è il signore degli dei, Marte presiede alla guerra. Quando hanno deciso di dare battaglia promettono generalmente a questo dio il bottino che riusciranno a fare; vincitori gli offrono in sacrificio il bottino vivo e accumulano il resto in un solo luogo. In numerose città si possono vedere in luoghi consacrati dei tumuli innalzati con questa spoglie; ed è raro che un uomo osi, a sprezzo della legge religiosa, dissimulare presso di lui il suo bottino o toccare le offerte. Un tal crimine è punito con una morte orribile tra i tormenti.
- I Galli sostengono di discendere tutti dal padre Dite e che questo sia tramandato dai druidi. Perciò non calcolano il tempo contando i giorni, ma le notti: le date natalizie, il principio dei mesi e degli anni sono contati facendo incominciare la giornata con la notte. 
- I Germani hanno costumi molto diversi. Infatti non hanno druidi che presiedano alle funzioni sacerdotali, e non sono dediti ai sacrifici. " (dal "De Bello Gallico" di Giulio Cesare) 

Si pensa che i drudi vivessero nei boschi di querce, probabilmente per l'omonomia tra la parola druido con la parola celtica che indicava proprio quercia, e anche perchè era lì che si riunivano in comunità. A Mona i romani rasero al suolo un bosco di querce per sterminarli. Per questo, per la loro magia che sembrava dominare le forze naturali e per la conoscenza della natura, vengono associati alla figura dell'Uomo Selvatico, che si trova anche in alcune leggende celtiche e che indica una sorta di entità protettrice e guardiana della Natura, a cui tutte le creature obbediscono. Talvolta anche i Re venivano raffigurati con questo "simbolo". Deve però essere distinto dal Green Man, che rappresenta proprio radici intricate, alberi fitti e cespugli spinosi, ovvero l'espressione selvaggia della natura vegetale. Per questo però consiglio la lettura del bellissimo libro "Il Green Man e l'Homo Selvaticus" di Federico Gasparotti. 

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Note bibliografiche
- "De Bello Gallico" di Giulio Cesare, Ed. Oscar Mondadori
- Triadi Bardiche - ©traduzione di Brinigwenn 
- "I Miti Celtici" di T.W.Rollenstone, Ed. Tea
- "Merlino" di Jean Markale, Ed. Oscar Mondadori
- "Il Green Man e l'Homo Selvaticus" di Federico Gasparotti, Ed. Anguana

Siti "storici" sui celti e druidi (cliccare sul nome)
- Celtic World di Federico Gasparotti
- Antica Quercia Associazione Culturale di Ossian

© Luci di Avalon 2020 - Tutti i diritti sono riservati
Testo di Niviane. Vietato copiare o utilizzare il contenuto di questo testo o parti di esso senza aver ricevuto il consenso esplicito e scritto dell'autrice

lunedì 3 agosto 2020

Arianrhod

 

"Stella dei Cieli" di Edward Robert Huges e, accanto, la Via Lattea

Sono molti i nomi e gli archetipi con cui le culture di tutte le epoche e luoghi hanno celebrato la forza luminosa e vitale dell'Universo.
Uno di questi è Arianrhod, che nella lingua celtica significa "Ruota d'Argento", con probabile allusione alla Luna nei suoi aspetti di piena o in eclissi, ma con più certo riferimento alla costellazione della Corona Boreale, che si trova proprio in cima al suo Castello a Spirale (Caer Arianrhod), il quale parte da un luogo liminale sulla riva del mare alla fine di ogni terra e di ogni mondo, e sale spiraleggiando verso il cielo.
La Corona Boreale è un gruppo di stelle disposte a semicerchio nell'emisfero Nord, che formano  una Y il cui vertice è la stella Arturo (ma che caso!), una delle più luminose visibili dalla Terra. 
Come dicevano i celti, la creazione della vita e della luce avviene nella silenziosa oscurità della notte, che rappresenta anche quella del grembo di una nebulosa oscura, del grembo della donna, del grembo della Terra, del grembo dell'Universo.
Non è quindi un caso che Arianrhod, questa radiosa regina del cielo incoronata di Stelle, sia la madre di Llew Llaw Giffes, che è l'equivalente gallese dell'irlandese Lugh ovvero "il Sole". Dato che non si può dare vita ad una vita con caratteristiche che non si possiedono, Arianrhod non è solo lunare: lei è la datrice di luce, una forza anche "solare". In fondo, anche Elios è una "stella" come tutti gli altri "Soli" dell'Universo.
Il periodo che oggi corrisponde ai primi di Agosto ma la cui influenza prosegue fino alle porte dell'equinozio di autunno era per i celti il momento della celebrazione di Lugh e di sua madre nella celebre festa chiamata Lughnassad, che troviamo onorata ancora oggi con il nome di Lughnasa a livello locale in qualche paesino sperduto nelle lande delle terre insulari. Era una festa dei raccolti fatti o imminenti, un ringraziamento alla natura con mercatini, giochi, banchetti, fiere.
Arianrhod non è solo la madre del Sole: difatti il mito racconta che generò anche un altro figlio, Dylan, il "mare", ed è proprio sulle rive di quel brodo primordiale da cui nasce tutta la vita che sorge anche il suo Castello "a spirale" che si innalza fino al cielo. Lei è la datrice di vita, che sia nel mare cosmico che in quello acquatico.
Arianrhod è quindi qualcosa di più grande di ciò che il mito potrebbe darci ad intendere, molto più di una maga o di una bellissima incantatrice: lei è la tessitrice, la forza creatrice, la Madre in uno dei suoi nomi archetipici, la legge che regola tutti i cicli delle stagioni e della vita. Difatti "Ruota d'Argento" è associata anche alla Ruota dell'Anno, con i suoi cicli stagionali, naturali, vegetali, meteorologici, astronomici, lunari e...perché no, anche "mestruali".
Questo la rende quindi anche una madre dei raccolti, non tanto intesa come "terra" che genera, nutre, cresce, ma come forze e leggi naturali cosmiche che mantengono in equilibrio i cicli vitali permettendo il momento dell'abbondanza, ma anche a cui tutto torna alla fine di ogni tempo: il raccolto difatti non è che un momento di morte. I frutti, i semi e i chicchi di cerali cadono nella terra, e la natura si avvia verso il sonno invernale (oltretutto il chicco di grano è considerato la forza del nostro radioso astro luminoso materializzata sulla Terra). Il Sole inizia a perdere il suo vigore, ogni giorno la sua luce brilla sempre più brevemente e obliqua, fino ad arrivare al termine di Ottobre quando diventerà il pallido riflesso di se stesso.
Caer Arianrhod è il passaggio (visibile solo con le albe boreali) attraverso il quale la vita scende dal mondo dello spirito per diventare forma e materia, e attraverso il quale risale al mondo dello spirito per rigenerarsi quando perderà la sua forma materiale. E' un Axis Mundi collocato alla fine di tutte le cose nel punto di incontro dei tre reami contemplati nella spiritualità di Avalon: il Regno del Mare, le cui onde smuovono le nostre emozioni, il Regno della Terra, la cui solidità nutre la concretezza fisica, il Regno del Cielo nella cui trama è intessuto lo spirito.
Arianrhod è essenza divina. Niente può esistere ed essere compreso senza di lei, nemmeno il Sole/Llew può brillare e conoscere se stesso senza il suo intervento.
Nel suo mito trascritto nel IV ramo dei Mabinogion intitolato "Math, figlio di Mathonwy", Arianrhod stabilisce che Llew Llaw Giffes non avrà ne un nome, ne armi, ne una donna terrena fino a che non sarà lei stessa a darglieli. Gwydion, suo fratello, glieli estorce con l'inganno facendo di Llew un re, ma non si può andare contro le leggi della Madre: sarà lei stessa, nella forma di Blodeuwedd, a divenire la compagna di Llew, e lo costringerà ad un processo iniziatico di morte e rinascita affinché sia maturo e consapevole per un compito che lo zio aveva a tutti costi voluto consegnargli prima del giusto tempo stabilito da colei che regge le Leggi naturali. Non si deve far brillare il Sole a dicembre.
Ricevere il nome significa divenire consapevoli di chi siamo, ricevere le armi rappresenta la presa di coscienza della nostra forza e del nostro talento, ricevere una compagna significa riunire i due emisferi opposti presenti in ognuno di noi e sancire la sovranità su se stessi.
Nei miti, Arianrhod, alla fine di ogni storia, torna al cielo a sua scelta: nel quarto ramo dei Mabinogion ("Math figlio di Mathonwy") è lei stessa a provocare un'onda di marea che travolge il castello trascinandola via, ed è lei, nelle vesti di Blodeuwedd, a trasformarsi in civetta e volare via appena finito il suo compito iniziatico verso Llew.
Arianrhod o Aranrot è "figlia di Don", ergo, è Don in una sua manifestazione. Don/Dana è la madre degli Dei, la Dea prima di ogni cosa. Non si può andare contro la Grande Energia divina dell'Universo, non si può disobbedire alle sue leggi senza ricevere danno o distruzione.
Sono molti i nomi che gli antichi usavano dare alla Grande Energia per distinguerne ogni sfumatura, e spesso i celti erano soliti rappresentarla con una triplice spirale in intrecci di cui non si vede ne l'inizio ne la fine, poiché la vita è un flusso continuo in un reticolo di forze diverse, apparentemente opposte, sempre interagenti tra loro, di cui la temporanea discesa nella caducea materia ne è solo un aspetto. Non c'è fine alla tessitura della grande tela cosmica, e nessun filo viene mai disperso: la tela si trasforma, ma non si buca.
Per Jhenah Telyndru Arianrhod, probabilmente anche in ragione del suo nome e per il luogo liminale del suo castello, è il cerchio della Ruota d'Argento (o "dell'anno"), guardiana dei confini, e Luna Nera, poichè la Luna in eclissi si mostra in un cerchio luminoso e attraversa, in una sola notte, tutte le sue fasi (calante, nera, crescente e di nuovo piena) per la frapposizione della Terra tra la Luna e il Sole; per questo le energie sono favorevoli ad un processo di purificazione da pensieri, eventi, emozioni, ed energie di tipo negativo, assorbite dell'oscurità della Luna, per riemergere liberi da quelle condizioni che ci bloccano e non ci permettono la libera e autentica espressione di Sè. 

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Note bibliografiche:
- "The Mabinogion" di Lady Charlotte Guest, Ed. Dodo Press
- "Avalon Within" di Jhenah Telindru, ed Llewellyn Publications 

- Immagine di Arianrhod: "Stella dei Cieli" di Edward Robert Huges abbinata ad una immagine della Via Lattea trovata su Pinterest.com e del cui autore non era specificato il nome

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Testo di Niviane. Vietato copiare o utilizzare il contenuto di questo post o parti di esso senza aver ricevuto il consenso esplicito e scritto dell'autrice