martedì 15 settembre 2020

Granadoro


Vorrei condividere anche qui questa favola dedicata alla Dea, che avevo già pubblicato altrove, come traccia di "Avalon" nel centro Italia, ovvero in Toscana per la precisione, la terra della "vera" spada nella roccia, quella che tutti possono vedere con i loro occhi all'eremo di Montesiepi a San Galgano-Siena, "vera" a detta degli storici che identificano San Galgano con Galvano/Gawain. La spada piantata nella roccia è un simbolo di rinuncia alla violenza, credo sia un simbolo importante in questo periodo.
Ma qui non parlerò di San Galgano bensì di una bella fiaba popolare raccontata da Carlo Lapucci nel suo testo "Fiabe Toscane", per la cui narrazione ha unito la favola "Granadoro" (contenuta in "Novelline" del Comparetti) con la narrazione popolare orale da lui ascoltata da una certa Olga Mancini di Empoli. 
La favola si intitola "La Cavallina Fatata (Granadoro)"
Sappiamo che il cavallo, animale sacro per gli antichi popoli indoeuropei come simbolo di sovranità, è sovente associato a divinità femminili, come le più note Rhiannon ed Epona, oltre che ad altre meno note che appartengono soprattutto a miti e fiabe popolari di carattere locale territoriale, ed ovviamente gli stessi temi li troviamo anche nelle versioni "cavalleresche" di tali storie. Potremo riconoscere una sorta di Rhiannon e quindi di Grande Regina lunisolare e Signora di Sovranità anche leggendo questa novella toscana, che contiene molti temi cari alla mitologia celtica.
Questa narrazione è caratterizzata dal tema dell'impostore e del viaggio iniziatico dell'ingenuo prescelto. L'impostore può ingannare l'occhio umano, ma non quello della Dea, la quale riconosce colui che è destinato a sederle accanto, figlio/nipote/consorte che sia, e lo riporta alla vita e al rango che gli compete; nella veste della Cavallina Fatata disarciona l'impostore ma non il vero principe e il marito. Solo il prescelto della Dea può essere il regale custode/guardiano del suo regno e della vita che lo abita, e questo, come sappiamo, è un tema centrale anche delle storie arturiane.
Prima di ricevere la regalità, il principe deve affrontare una serie di avventure iniziatiche, fra cui decapitare il drago e approntare un viaggio pericoloso che lo porterà ad incontrare Sovranità ai confini del mondo, ricordandoci figure più note come Galvano o Perceval, il primo per il mito di "Galvano e l'Uomo Verde", il secondo per la narrazione di "Peredur". Allo stesso tempo, il protagonista di questa favola ci ricorda il cavaliere puro e perfetto, come Galahad, colui che trova il Graal, ovvero la coppa della guarigione e simbolo del grembo femminile. In questo caso, il Graal è la stessa Granadoro. Questi temi così diffusi nelle narrazioni del periodo cavalleresco hanno radici più antiche in un epoca in cui il sacro femminile era fortemente vissuto e venerato. Torna qui anche il tema della Dea che, come Arianrhod, deve dare riconoscimento e armi al figlio, ma, come Rhiannon, è colei che, nella forma della Cavallina Fatata, assiste e sostiene il prescelto per tutto il suo viaggio, lo invita al coraggio, ma il prezzo da pagare per la libertà e la regalità è duro e doloroso, e lei non fa niente affinchè tale prezzo non sia pagato dal ragazzo fino in fondo, fino al suo sacrificio finale. 
L'arrivo dell'impostore determina la sparizione di Granadoro, oltre che il caos nella veste del mostro Belverde e la carestia data dall'abbandono dei campi. Il ritorno di Granadoro con il prescelto e tutto quello che ne consegue riporta luce, abbondanza ed equilibrio. 
Nella leggenda vi sono anche altri simboli interessanti, come l'anello di nozze, che era custodito nelle profondità marine, il pesce, la farfalla e la rondine che aiutano il principe a portare a termine le sue prove, e infine l'acqua miracolosa che dona vita e guarigione ma che non è accessibile a tutti, riconducendoci ai temi relativi al Graal e alla sua ricerca. La triade "Granadoro e le sue due gemelle" indica chiaramente che essa è il volto della triplice Dea. 
Alla fine del viaggio iniziatico del principe, Granadoro può tornare al suo regno, portando luce, pace e ristabilendo l'abbondanza e l'equilibrio, mentre il giovane muore ma rinasce per mano di Granadoro ad un livello di coscienza più elevato, che lo rende degno di diventare un giorno il re del suo reame. 
Vorrei aggiungere due righe su Belverde e il caos: esso rappresenta il momento in cui tutte le energie si rimescolano ad opera delle forze selvagge affinchè nuovi equilibri possano determinarsi la dove è stato creato lo squarcio che ha portato lo squilibrio nelle forze. La decapitazione di Belverde da parte del principe indica che il prescelto è arrivato, e può ristabilirsi l'equilibrio. 
Granadoro ci invita a decapitare i nostri mostri interiori che non ci permettono di realizzarci ed evolverci, e di affrontare con coraggio e libertà il lungo viaggio della vita, in una crescita continua della nostra consapevolezza. 
Il suo stesso nome "Granadoro" ci ricorda il grano dorato sotto il sole d'estate, la Madre di abbondanza, Modron la Grande Madre del Mabonograin, identificato nel grano stesso, e ci ricorda un'altra Dea celtica: Grainnè, Dea solare, il cui nome unisce il termine "grain" a quello di Aine/Ana, una sorta di Demetra celtica dei popoli gaelici, assimilabile anche ad AnnaPurna o la romana Anna Perenna.
Passiamo ora alla narrazione, che cercherò indegnamente di riassumere. Purtroppo la favola è molto lunga e schematica, quindi il compito non è facile (ed io non sono una brava narratrice) ma questa solare, materna e magica entità delle leggende toscane, che è probabilmente il retaggio sopravvissuto di arcaici culti legati alle Divine Madri, merita di essere conosciuta. 

*La Cavallina Fatata (Granadoro)*
C'era una volta un re che aveva un bravo figlio. Quando questo divenne grande, il fratello del re e sua moglie Granadoro, che erano i regnanti del Portogallo, espressero il desiderio di conoscere il ragazzo, così il padre gli dette un buon cavallo e il giovane principe iniziò il suo viaggio. Sulla sua stessa strada incontrò un viandante, e così, felice di poter avere compagnia, il principe lo prese con se e per ingannare la noia gli raccontò tutto della sua vita e della sua famiglia. Quando furono vicini alla reggia dello zio, il compagno di viaggio però minacciò il principe con un' arma e lo costrinse a scambiarsi vestiti e i ruoli. Così questo impostore si presentò al re come il principe, mentre il vero principe fu presentato come "lo scudiero" e fu alloggiato nelle stalle. Il re si accorse che quel falso nipote non aveva una educazione regale, ma pensava che fosse colpa del fratello che per l'affetto era stato troppo indulgente, e gli lasciò fare tutto quello che voleva. L'impostore quindi aveva un solo problema: uccidere il vero principe affinchè la verità non fosse scoperta.
Un giorno mentre era nella scuderia vide una bella cavallina ed espresse il desiderio di cavalcarla.
- "E' di vostra zia Granadoro" - gli disse lo zio - " e disarciona chiunque altro" -.
Il falso nipote vide in questo un'occasione per uccidere il vero principe, e convinse lo zio che il suo scudiero era un abilissimo domatore di cavalli. Così il re ordinò al vero principe di domare il giorno dopo la Cavallina di Granadoro, gettandolo nella disperazione. Durante la notte, dato che dormiva nella stalla accanto alla Cavallina, il ragazzo volle provare ad accarezzarla per vedere se era davvero così selvaggia, ma la Cavallina, che aveva sentito il suo tormento, gli parlò, dicendogli di non preoccuparsi che il giorno dopo sarebbe andato tutto bene. Difatti così fu: il giorno seguente, dopo aver scalciato un pochino, si ammansì e si lasciò domare, tanto che si fece cavalcare anche dal re. Esterrefatto volle provarci anche l'impostore, ma la Cavallina lo disarcionò mandandolo a sbattere con i denti su una staccionata, ed egli si fece così male che dovette stare per un bel pò a letto.
Intanto arrivarono notizie che un mostro di nome Belverde terrorizzava il Portogallo e i contadini scappavano abbandonando le case e lasciando i campi incolti. Il re si stava preparando per mandare un drappello di guerrieri ad ucciderlo, ma l'impostore, sempre nella speranza di uccidere il vero principe, propose di nuovo il suo "scudiero" come soluzione, convincendo lo zio che come domava i cavalli avrebbe saputo domare anche il mostro. Quando il vero principe seppe di questo nuovo compito che gli veniva affidato iniziò a piangere, ma la Cavallina gli disse di non preoccuparsi, di farsi fare un vestito di specchi e di farsi dare una sciabola ben affilata:
-"presentati impettito e con la spada sguainata al mostro, e quando il mostro si fermerà vicino a te, incuriosito, a guardare gli specchi tu non esitare e tagliagli la testa".
Il giorno dopo andò tutto come la Cavallina aveva detto, e la gente della città portò in trionfo il vero principe con la testa di Belverde infilzata sulla punta della spada, mentre il re ordinò feste e banchetti in suo onore.
Pieno d' invidia l'impostore era sempre più determinato a fare uccidere il principe, così, quando venne a sapere che il re cercava disperatamente da tempo la moglie Granadoro che era sparita, e che tutti quelli che erano andati a cercarla non erano tornati, propose al re di mandare il suo scudiero che si era dimostrato così abile e prode. Ricevuto l'ordine di partire, il vero principe andò a raccomandarsi alla sua Cavallina, la quale gli disse di partire insieme a lei, e di farsi dare un bastimento con molte provviste. Era l'impresa più rischiosa, ma lo rassicurò che ce l'avrebbero fatta.
Quando tutto fu pronto il vero principe e la Cavallina partirono. Il viaggio in mare fu tranquillo, e durante il viaggio essi accolsero sulla nave un pesce, che ospitarono dentro un orcio contenente acqua fresca, una rondine, alla quale fecero un nido, e una farfalla che accomodarono su un cuscino.
Dopo molti giorni di navigazione arrivarono ad una terra impervia su cui sorgeva una montagna altissima, e in cima alla montagna c'era un castello. La Cavallina disse al ragazzo di salire in cima alla montagna e, una volta arrivato all'uscio, chiedere di Granadoro, la quale gli avrebbe indicato tutto ciò che doveva fare.
Il ragazzo si arrampicò sulla cima e si presentò come uno scudiero che il re aveva mandato per riportarla al castello. Granadoro gli disse che non poteva partire se egli non recuperava il suo anello di nozze che era caduto in mare, se non gli portava l'acqua miracolosa che nasceva in un luogo inaccessibile tra le montagne e se non riusciva a riconoscere quale lei fosse tra le altre due sue sorelle gemelle. Il ragazzo, per ognuno di questi tre compiti, scese alla nave a farsi consigliare dalla Cavallina: il recupero dell'anello fu ordinato al pesce, che guizzò in mare e lo ritrovò riportandolo in breve tempo al ragazzo. La rondine fu mandata a prendere l'acqua miracolosa con una anforetta legata ad una zampina, e la farfalla si posò sulla spalla di Granadoro per indicare al ragazzo quale era quando dovette riconoscerla tra le sorelle che le somigliavano come gocce d'acqua.
A questo punto Granadoro, la Cavallina e il principe partirono sul bastimento per tornare alla reggia del Portogallo. Il vento soffiò in poppa, il mare era calmo e così velocemente raggiunsero il regno, dove trovarono un re così felice di aver ritrovato la sua adorata moglie che riempì il ragazzo di abbracci e riconoscenza.
L'impostore a questo punto cominciò ad avere molta paura che il vero principe e nipote avesse raccontato alla Regina e zia come stavano le cose.
Quando fu l'ora di pranzo, Granadoro volle che lo scudiero sedesse a tavola con loro e disse all'impostore di andarlo a chiamare. Vistosi perduto, egli scese nella stalla e uccise il vero principe, dopodichè ne nascose il corpo sotto la paglia. Quindi tornò a tavola e disse che il suo scudiero non voleva salire perchè si vergognava. Granadoro così scese personalmente e, cerca cerca, trovò il corpo esanime del ragazzo tra la paglia, ma non le ci volle molto per farlo tornare in vita con l'acqua miracolosa. A questo punto fu fatta luce su tutta la vicenda: l'impostore fu condannato alla forca dove morì tra gli insulti del popolo, mentre il vero principe riprese il rango che gli spettava tra gli onori della folla. Egli rimase moltissimo tempo con gli zii, e quando fu stanco tornò al suo palazzo dove regnò e visse lunghi anni felici.

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Note bibliografiche:
- "Fiabe Toscane" di Carlo Lapucci, Ed.Samos

- Immagine in alto: mix di una donna con cavallo (a sx)  presa da Pinterest.com e di cui non è indicato l'autore e l'opera "Galahad" di George Frederic Watts


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Testo di Niviane. Vietato copiare o utilizzare il contenuto di questo post o parti di esso senza aver ricevuto il consenso esplicito e scritto dell'autrice.

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